Tutte le speranze della vigilia spazzate via da nemmeno
centottanta secondi.
Centottanta secondi sufficienti oltretutto per far
prendere forma al peggior incubo per tutti i Gooners, ovvero il tipico gol dell’ex.
Robin van Persie ha punito gli ex compagni, come da
copione, ma quel che più ha ferito i tifosi dell’Arsenal è stata l’incredibile
passività mostrata dai ragazzi di Arsène Wenger
fin dall’ingresso sul campo dell’Old Trafford.
Ho provato a formulare alcune ipotesi per poter arrivare
vicino ad una spiegazione di quanto successo a casa del Manchester United,
nessuna delle quali è francamente rassicurante per l’Arsenal ed il suo seguito:
la timidezza e sudditanza mostrata dai Gunners è stata a tratti
destabilizzante, palesando quanto i Gunners fossero consapevoli di essere
largamente inferiori ai propri rivali e quindi preferissero non attaccare
direttamente gli avversari per paura di venire puniti; questo porta al secondo
punto ed inevitabilmente a a quanto successo la stagione scorsa, quello storico
2-8 che ha forse marchiato a fondo non tanto quelli che erano in campo quel
giorno (visto che ieri erano una minoranza) quanto il Club in generale, e magari
lo stesso Arsène Wenger: l’alsaziano ha presentato una squadra coperta,
guardinga ma soprattutto timorosa, sentimenti forse trasmessi inconsciamente
alla squadra; il terzo punto, non più rassicurante dei precedenti, porta invece
a pensare che all’Arsenal questa sconfitta fosse in qualche modo prevista e
tutto sommato accettabile, a patto che non assumesse le proporzioni di quella
dello scorso anno.
Arsène Wenger ha infatti più volte precisato che l’Arsenal
non sarebbe arrivato all’Old Trafford in cerca di vendetta, un atteggiamento
quantomeno sorprendente per un Club che vuole competere ai massimi livelli:
quale squadra non vorrebbe far pagare ai propri rivali uno schiaffo come quello
preso l’anno scorso?
Con una maggiore volontà, coraggio e combattività si
sarebbe probabilmente perso lo stesso, ma perché smorzare gli ardori dei
Gunners preparando una partita “a perdere”?Per quanto abbia spesso funzionato, la fervente immaginazione di Arsène Wenger ha recentemente portato tanti giocatori dell’Arsenal a giocare spesso fuori posizione, con annesse brutte prestazioni e quindi critiche e malcontento del giocatore stesso: è successo con Bendtner, raramente utilizzato nel suo ruolo naturale di centravanti, è successo con Arshavin e sta succedendo con Aaron Ramsey, sempre più spaesato sulla corsia di destra.
Inoltre, al di là delle speculazioni mediatiche, questa confusione tattica è la base dei problemi che il rinnovo di Theo Walcott sta generando: il ragazzo dice che l’ingaggio non sia la priorità e io gli credo, per quanto un sostanzioso aumento sia nelle sue mire, e dice di sentirsi un attaccante e quindi di voler giocare più centralmente, un ruolo nel quale Wenger gli ha preferito addirittura Gervinho.
Capisco Theo, in questi due anni si è trasformato in un cecchino sotto porta e potrebbe davvero diventare un attaccante da 25 gol a stagione, se solo gli viene data l’opportunità.
Quando arriverà quest’opportunità? Quando sarà tardi?
Il futuro è complicato al momento, a partire già dalla
partita di martedì a casa dello Schalke 04, capace di sconfiggere l’Arsenal all’Emirates
con un perentorio due a zero: i tedeschi hanno il primo match-ball per mettere
al sicuro la qualificazione e non intenderanno certo sprecarlo, soprattutto
contro un Arsenal in crisi d’identità come quello visto all’Old Trafford.
Le grandi squadre sono capaci di reagire come belve
ferite quando le cose vanno male, l’Arsenal ha davanti l’occasione per far
capire che è ancora una grande squadra.
Non si tratterà semplicemente di portare a casa i tre
punti, com’era il caso contro il QPR, piuttosto si tratterà di andare in
Germania con il piglio dei grandi e rimettere in riga quei tedeschi che hanno
violato l’Emirates Stadium una settimana fa.
Proprio come il Manchester United ha messo in riga i
poveri Gunners.
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