
La situazione
è piuttosto surreale: siamo in vantaggio ad Anfield senza praticamente mai aver
creato un’occasione da gol che fosse una, mancano quattro minuti da giocare e
proprio all’ultimo secondo concediamo il gol del pareggio – guarda caso su
calcio piazzato.
Come dobbiamo
sentirci?
Sul momento,
infuriati.
Nonostante le
parate a ripetizione di Wojciech Szczesny, il vantaggio numerico in seguito all’espulsione
di Borini e i pochissimi minuti che restano da giocare, riusciamo a rovinare
tutto nel modo più prevedibile del mondo.
Qualche ora
dopo, la rabbia un po’ è scemata e ha lasciato spazio ai rimpianti.
Sarebbe stato
bello vincere SOPRATTUTTO avendo giocato così male, perché per una volta
sarebbe stato divertente vedere qualcun’altro nel ruolo del beffato – visto che
di solito siamo noi quelli che dominano e poi perdono malamente.
Questa
mattina, il risultato di Anfield non mi pare niente male.
Siamo stati
presi a pallonate dall’inizio alla fine, eppure ce ne torniamo a casa con un
pareggio – cancellando en passant l’onta
della sfida dell’anno scorso. Per fortuna più che per meriti, ma tant’è.
Ciò che non
sembra diverso è invece il retrogusto di una prestazione da censurare: non
ricordo di aver contato più di cinque passaggi di fila; non ricordo una
combinazione offensiva degna di questo nome, a parte quella che ha portato al
gol di Olivier Giroud e non ricordo nemmeno una giocata individuale degna di nota.
Nulla di
nulla.
Al contrario,
i palloni persi in maniera ridicola sono incalcolabili – e da uno di questi (un’improbabile
combinazione volante tra Danny Welbeck e Olivier Giroud sulla trequarti) è nato
il gol del vantaggio del Liverpool.
Inevitabile
quando ci si lascia prendere nel vortice agonistico voluto da Liverpool –
anziché far valere la propria superiorità tecnica; una squadra matura avrebbe
dovuto rallentare i ritmi, impedire a giocatori come Lallana e Coutinho di
ricevere troppi palloni comodi e costringere l’avversario a manovre costruite,
specialità indigesta al quartetto difensivo composto da Touré, Sakho, Skrtel e
Leiva.
Missione
impossibile quando a dettare i ritmi sono Mathieu Flamini e Alex
Oxlade-Chamberlain, ancora meno se Olivier Giroud non riesce a proteggere un
pallone che sia uno e Danny Welbeck gioca a nascondino.
Inevitabile
quindi che il pomeriggio si trasformasse in un supplizio perché contro la
velocità di Sterling, Lallana, Coutinho e Markovic è difficile trovare delle
soluzioni difensive affidabili.
Sulla carta,
la partita sarebbe potuta essere molto favorevole perché la difesa schierata da
Rodgers sarebbe stata molto vulnerabile quando messa di fronte a Alexis
Sanchez, Danny Welbeck e Olivier Giroud – purtroppo però il pallone l’avevano
sempre i Reds e quindi ci siamo
ritrovati con la squadra spezzata in due: tre uomini davanti, cui non arrivava
mai un pallone decente, e sei dietro ad arginare la furia dei padroni di casa.
Ogni singola
volta in cui abbiamo recuperato il pallone sulla nostra trequarti, portarlo al
di là del centrocampo avversario è stata un’impresa fallimentare; il solo Santi
Cazorla ha provato a mettere ordine ed uscire in maniera pulita dalla pressione
avversaria, senza trovare nessuno che lo aiutasse.
In sostanza,
perfino il pareggio ci va largo; se mettiamo le cose in prospettiva, essere
usciti da Anfield con un punto dovrebbe farci tirare un sospiro di sollievo
prima che creare rimpianti.
Se avessimo
marcato meglio.
Se avessimo
mantenuto un uomo sul palo.
Se avessimo
evitato di concedere l’ennesimo calcio d’angolo.
Il gol di
Skrtel è solo uno delle ventisette conclusioni che abbiamo concesso al
Liverpool.
VENTISETTE.
A farci
infuriare davvero dovrebbe essere la prestazione globale più che il gol subito
all’ultimo minuto.
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