
Sabato
ritroverà finalmente il campo, ad esattamente trentanove giorni dall’ultima
apparizione con la nostra maglia; da quella grande sfida contro il Manchester
United in poi, solo panchina ed un infortunio per colui che pareva destinato ad
essere il nostro numero uno per la prossima decade.
Cos’è successo
a Wojciech Szczesny?
Il purtroppo
famoso episodio del St. Mary’s Stadium non può essere il fattore determinante
nella scelta di Arsène Wenger di confinare il polacco al ruolo di riserva,
perchè ad altri (leggi Jack Wilshere) qualcosa di simile è stato perdonato più
di una volta; temo invece che la prestazione di quel giorno, molto più che il
gesto da adolescente ribelle negli spogliatoi, abbia definitivamente spinto il
manager a riporre la propria fiducia nel più mite David Ospina.
Sono stato tra
i primi a pensare che la panchina subito dopo la sconfitta a casa del
Southampton fosse una punizione temporanea più che una scelta definitiva, poi
però le prestazioni sempre più convincenti del colombiano mi hanno fatto
sorgere il dubbio: può essere che Arsène Wenger non creda più nelle evidenti
qualità di Wojciech Szczesny?
Non ho paura
di ripeterlo per l’ennesima volta, gli esordi di Wojciech Szczesny mi hanno
ricordato in tutto e per tutto quelli di Gigi Buffon: stessa esplosività,
stessa incoscienza e soprattutto identica propensione alla parata impossibile.
“Quando sei sicuro che sia gol, con Wojciech in
porta non è ancora gol”,
ha detto di lui l’allora manager del Brentford che lo ha avuto a disposizione
per una stagione – e non potrei essere più d’accordo.
Stiamo
parlando di un portiere che la stagione scorsa ha vinto il Golden Glove in
coabitazione con Petr Cech, mettendo insieme sedici clean-sheets in trentasette
partite di campionato; stiamo parlando di un ragazzo che ha debuttato contro il
Manchester United ad Old Trafford in Premier League e contro il Barcellona all’Emirates
Stadium in Champions League, brillando in entrambe le occasioni per riflessi e
velocità.
Possibile che
uno così si perda per strada?
Forse il
problema non è nelle sue qualità tecniche e atletiche ma è da ricercarsi
altrove, nella testa: qui sta la grossa differenza con Gianluigi Buffon.
Il portiere di
Parma e Juventus è certamente stato aiutato da qualità innate di rara
eccezionalità, però a fare la differenza nella lunga e vincente carriera sono
state la determinazione messa in ogni allenamento e ogni partita, per diventare
il migliore al mondo e restarlo per così tanti anni.
Anche
Gianluigi Buffon è un estroverso e non è certo immune da errori, però l’approccio
al professionalismo è completamente opposto da quanto mostrato fino a qui da
Wojciech Szczesny; dopo ogni errore è sempre il primo a metterci la faccia,
assumendosi tutte le proprie responsabilità – cosa che invece il polacco fatica
a fare.
Se sono simili
nel puntare esplicitamente il dito contro questo o quel compagno che non ha
offerto la prestazione adeguata, sono diametralmente opposti nella percezione
che questo atteggiamento genera: Gianluigi Buffon è un campione, uno che può
decidere una partita con un intervento e che offre un aiuto tangibile alla
squadra; Wojciech Szczesny invece è un portiere che vorrebbe essere un campione, cui piacerebbe cambiare le sorti della partita e che desidererebbe offrire un aiuto costante
e tangibile alla squadra.
Se ad accompagnare
il tuo nome ci sono così tanti condizionali, è impossibile che un compagno di
squadra possa prendere bene una tua critica; al contrario, se dimostri la tua
eccellenza e ti assumi la piena responsabilità dei tuoi errori, allora diventi
un leader ascoltato dallo spogliatoio.
In quest’ottica,
la scelta di Arsène Wenger di puntare su David Ospina assume un senso diverso.
Il colombiano
è una presenza tranquilla in area e, nonostante un certo gusto per la parata
fotogenica, è molto meno avventuroso del polacco; basta osservare il
comportamento dei due quando si trovano la palla tra i piedi: David Ospina
appoggia di prima ad un difensore o calcia lungo, Wojciech Szczesny esita, a
volte sembra aspettare l’avversario per eluderne il pressing o azzardare
addirittura il dribbling.
Era evidente
fin dall’inizio che il colombiano non era stato acquistato per fare il Lukasz
Fabianski di turno ma per costringere Wojciech Szczesny ad un’autentica
battaglia per la maglia da titolare; forse il polacco non ha capito
immediatamente l’antifona e si è fidato troppo – ancora una volta – delle proprie
qualità, fatto sta che ora deve accettare di essere la riserva di David Ospina.
Spetta a lui
adesso decidere se adattarsi alla situazione – sempre temporanea per i portieri
che lavorano con Arsène Wenger – abbassare la testa e lavorare per diventare il
portiere che potrebbe essere, oppure cambiare aria, nascondendersi dietro un
diritto divino di giocare titolare in virtù di qualità impareggiabili.
Destinandosi però ad una carriera mediocre e ad una realtà fatta di rimpianti
per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato.
Nessun commento:
Posta un commento
I Vostri Commenti