
Correva l'anno
1999, era estate, un'estate in cui non mancò il classico tormentone del
calciomercato, un tormentone che allora portò il nome di Nicolas Anelka.
Ricordo ancora
i quotidiani sportivi italiani (e non solo, ovviamente...), allora come oggi,
intenti a diffondere notizie più o meno fantasiose, ma con un unico comun
denominatore: Anelka!
Si, sempre
lui! Wenger era disperato, e pure noi, ma la corte serratissima, fatta a suon
di miliardi -allora non erano milioni- dalla Lazio di Cragnotti e dal Real
dell'ingordo Florentino Pèrez si trascinò fino allo sfinimento, con il fratello
procuratore dell'ingrato Nicolas a scatenare un'asta degna dell'attuale Mino
Raiola, e forse anche di più! A conti fatti, però, il nostro manager sarà
l'unico a fare un vero affare.....Certo, anche il conto in banca del clan
Anelka non è che si sia lamentato, ma vuoi mettere l'incasso pari ad attuali
35,00 mln di Euro? E poi vuoi mettere che, mentre a Madrid Anelka recitava il
ruolo del bidone manco fosse Morgan Freeman, ad Highbury arrivava un bidone
pronto a scrivere la storia del Club a caratteri cubitali? E poi vuoi mettere
che, trattandosi di bidone, per prenderlo bastò staccare un assegno di attuali
16,10 mln di Euro?
Ma si, ci
siamo capiti, e poi l'ho pure scritto nel titolo! Quell'estate sbarcava a
Londra Sua Maestà Thierry Henry: l'asso nella manica di Wenger...e che asso!
Sapete che vi dico? Andiamo a ripercorrere la prima fase di Henry con il
cannoncino sul petto; lo faccio per chi allora era troppo piccolo, per chi non
era nemmeno nato, e per chi era presentissimo ma non versa una lacrimuccia da
un bel po'!
Soprattutto,
lo faccio tramite le parole dello stesso Tití, che è meglio...
"Mi
volevano cedere all'Udinese per arrivare ad Amoroso, ma io mi opposi perchè
ritenevo tutto ciò una mancanza di fiducia".
Inizia così la
fine dell'esperienza di Henry alla Juventus. Incomprensioni tattiche, e
soprattutto la rottura con Moggi, fino alle lacrime per un flop che non è
proprio così, ma che come tale venne dipinto dalla stampa internazionale. Henry
sbarca in Inghilterra per riabbracciare colui che, qualche anno prima, lo aveva
fatto esordire con la maglia del Principato:
"Wenger è una persona straordinaria,
trasmette una serenità ed una tranquillità incredibili, e poi ogni sua parola è
piena di saggezza. Non dimenticherò mai che mi ha fatto esordire quando
avevo solo 17 anni (il 31 agosto 1994 contro il Nizza). Chissà, senza quella
gara magari non avrei giocato i mondiali del 1998."
L'impatto con il calcio inglese, però, non è
cosa semplice, anche perchè il francese viene visto con occhi sospetti per via
della sua precedente esperienza italiana.
"Ancelotti non voleva cedermi, nè lasciarmi andare in
prestito.” – racconta Thierry
Henry – “ I dirigenti, invece, la pensavano in un'altra maniera.
I giocatori sono stati grandi, quando sono partito mi hanno chiamato tutti,
pure Ancelotti".
Arsène Wenger,
da parte sua, descriverà così il suo pupillo:
"E’
rimasto un bambino, spontaneo, spesso ho l’impressione di vedere il Thierry
Henry di sei anni fa. Gli ho cambiato la posizione in campo, perchè giocando sulla
fascia segnava poco. Siccome ha le qualità dell’attaccante moderno, ho pensato
fosse utile farlo giocare come punta, come lo faceva nelle giovanili.
All’inizio non era convinto, poi ha accettato, ha capito che per lui era la
grande occasione, quella di fare un passo avanti. Ora penso che sia diventato
addirittura troppo attaccante, nel senso che è molto più egoista di prima, ma
va bene così."
Wenger sa bene
come "modellare" un talento, e così, trasforma un bidone in un killer
d'area, spietato ma anche dannatamente bello a vedersi.
Anche la
stampa britannica comincia ad apprezzarlo, e non solo per le sue qualità
tecniche:
"Thierry ha subito imparato la lingua, ma lo amano soprattutto perché
non si è mai lamentato del gioco violento o della pioggia incessante. Può
sembrare una cosa da poco, invece è molto importante per i tifosi a queste
latitudini."
E l'impatto?
Lasciamo che sia Henry a raccontarcelo:
"Quando
sono arrivato in Inghilterra non avvertivo nessun tipo di cambiamento, dal
punto di vista calcistico. Mi allenavo e basta, poi le sedute sono quasi
simili, almeno nei grandi club, c'era poca differenza fra Juventus e Arsenal,
anche se avevo le gambe pesanti, a Torino avevano esagerato con la preparazione
fisica. Poi, è iniziato il campionato. Nella
prima giornata abbiamo giocato contro il Leicester, e appena iniziata la gara,
mi sono accorto come il pubblico sia straordinario. Me ne avevano parlato, ma
non potevo immaginare una cosa del genere. Il mio ingresso in campo è stato
accolto da una vera e propria ovazione. Un'emozione unica, soprattutto per uno
come me, che aveva giocato a Montecarlo con lo stadio quasi deserto. Ci hanno
sostenuto per 90 minuti, anche quando eravamo in svantaggio, francamente senza
di loro non credo che avremmo potuto rimontare. Questa è una grande
differenza fra il calcio inglese e quello italiano. Lì c'è un grande incoraggiamento,
un grande pubblico solo se la squadra vince, mi ricordo che, nel mio breve
periodo in Italia, l'Inter era in difficoltà, ed i tifosi non l'hanno certo
trattata con i guanti. Qui, nulla del genere può accadere, in Inghilterra
rispettano moltissimo i loro giocatori, non si sognerebbero mai di minacciarli.
Anzi, più le cose vanno male, più la gente ti incoraggia, mentre a Torino, con
Lippi, ci fischiavano persino agli allenamenti."
"In
Inghilterra, quando sbagli un passaggio, un tiro, il pubblico applaude, canta
il tuo nome, e in quel momento ti viene la voglia di lottare solo per loro, per
ripagarli. In Italia, se sbagli un tiro, ti fischiano. Ci sono dei giocatori
con le spalle grosse, tipo Batistuta e Bierhoff, che riescono a superare ogni
tipo di ostacolo, ma non tutti sono fatti allo stesso modo."
"In Inghilterra, i primi venti minuti di
ogni gara sono tremendi, e non importa il nome dell’avversario, si corre a 200
all’ora, tutti fanno falli su tutti, e l’arbitro lascia sempre giocare.
All’inizio, dopo un contatto del genere, mi fermavo convinto che l’arbitro
fischiasse. Invece, faceva segno di continuare. Mi sono adattato, pian
piano."
"La prima partita è stata durissima, contro
il Leicester incassavo di quelle botte, pazzesco! Ogni volta che avevo la palla
mi facevano volare, e mi chiedevo dove sarei atterrato! Da parte mia, andavo a
fare dei falli inutili solo per vendicarmi. Sulle palle alte mi dovevo
proteggere con i gomiti, altrimenti ero un uomo morto. Spesso vedo dei
giocatori che mettono la testa dove io non metterei neanche il piede. A
volte mi sorprendo nel fare dei falli cattivi, e mi aspetto una reazione da
parte dell’avversario, invece niente, si alza come se niente fosse accaduto.
Spesso sembra una gara fra bulli di periferia, loro adorano tutto questo, se ci
sono tre falli in un secondo di gioco, per loro è il massimo. Paradossalmente,
è un atmosfera che ci trascina. In Italia o in Spagna un fallo del genere lo
vedi una volta all'anno, qui ci sono ogni santo giorno. Loro però la chiamano
generosità, con un fallo cattivo vogliono dimostrare di essere, come dire,
"presenti". L’arbitro, ogni tanto, fa vedere un cartellino giallo,
mentre in qualsiasi altro paese espellerebbe il giocatore. La cosa strana è che in allenamento accade la stessa cosa. Nei miei
primi giorni, Keown mi massacrava, pensavo che ce l'avesse con me, poi ho
capito che per loro ogni palla vale una lotta, senza differenze fra partite e
allenamenti."
"Wenger
mi ha chiesto di fare l’attaccante, avevo come concorrenti gente come Bergkamp,
Kanu, Suker, per non dire che tutti mi ricordavano che avevo preso il posto di
Anelka passato al Real. Volevo dimostrare quello che sapevo fare, mi mettevo a
dribblare tutti, poi, arrivato davanti alla porta, ero cotto, non concludevo
nulla. Ad un certo punto, volevo andare da Wenger e dirgli di rimettermi sulla
fascia. Poi, mi sono detto che dovevo reagire, che non potevo fallire una
seconda volta, a soli pochi mesi dall’esperienza, negativa a Torino."
"Quando
le cose andavano maluccio, mi sono messo a riflettere, e per prima cosa ho
deciso di non stare più ad ascoltare tutti, dovevo essere meno ingenuo, meno
influenzabile. Poi, è arrivata la gara dell'Under 21, a Taranto, contro
l'Italia, ho giocato come punta, ho segnato, e in quel momento ho ritrovato
delle emozioni, delle sensazioni che non vivevo da tempo. Abbiamo perso quella
gara, eravamo in dieci, ma per me è stata importantissima. Il secondo episodio
determinante è stata la doppietta contro il Derby County, solo pochi giorni
dopo il gol di Taranto. La mia prima doppietta in Inghilterra! Dal giorno
seguente, ho notato un cambiamento nei compagni; se prima mi dicevano "In
bocca al lupo", dopo mi sembrò che questo augurio si fosse trasformato in
una specie di "abbiamo bisogno dei tuoi gol", una specie di
clic"
"In Italia non mi divertivo per niente,
avevo l'impressione di aver perso la voglia di giocare. Sono andato via
anche per questo, e non mi sembra poco. Comunque, non mi dispiacerebbe se la
Juventus si mordesse le mani per avermi ceduto."
Si, alla
Juventus se ne sono pentiti, e noi siamo grati a Moggi per averti scaricato, ed
a Florentino Pèrez per averci fornito un sostanzioso assegno!
Pietro
La Barbera
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