“Quando gioca
l’Arsenal?”
“Non so, devo
controllare”
Un dialogo
banale di un venerdì qualsiasi, in famiglia, eppure allo stesso tempo così
incongruo: non so più se giochiamo di sabato, di domenica o di lunedì sera; non
so contro chi giochiamo; non so come sono messi in classifica i nostri
avversari – principalmente perché sono troppo avanti o troppo indietro rispetto
alla nostra mediocrità.
Qualche anno
fa non era così: non dico che conoscessi a memoria il calendario, però non sono
mai arrivato al venerdì senza avere un programma preciso in testa e
l’adrenalina già in corpo.
Adesso c’è
spazio solo per l’apatia.
Fortuna che
c’è l’Europa League alla quale guardare, una competizione che ci fa sentire
importanti in un mare di indifferenza.
Apatia,
appunto.
La trasferta a
Milano, la sfida casalinga contro il CSKA Mosca e ora una semifinale bellissima
e impossibile come quella che ci aspetta tra un paio di settimane, avversario
l’Atletico Madrid di Diego Simeone.
Finalmente una
serata europea come si deve, come non se ne vedevano dai tempi di
Arsahaviiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin! contro il
Barcellona.
Non è una
questione di risultati o di trofei – tre FA Cup in quattro anni sono un gran
bel bottino – è una questione di noia – di apatia.
In generale
siamo noiosi da vedere, prevedibili nel nostro commettere sempre gli stessi
errori, negli stessi momenti, commessi dagli stessi giocatori, schierati dallo stesso
mananger; mai un guizzo d’orgoglio, mai una reazione di rabbia, mai un gesto
rivoluzionario, solo apatia.
Avanti col
solito schema, avanti con la solita tattica, avanti con le solite difficoltà a
costruire azioni quando non ci sono Mesut Özil e Aaron Ramsey, avanti con le
solite dormite difensive e con i gol regalati agli avversari.
Anche
arrabbiarsi per l’ennesima batosta in trasferta è diventato faticoso, mentre un
tempo vivevo ogni sconfitta come un affronto, un’ingiustizia divina; ora
perdiamo col Nottingham Forest, col Brighton, con la Swansea ed è tutto
previsto e prevedibile – scontato.
Trovare spunti
per scrivere qualche riga è diventato impossibile, eppure sono sempre stato uno
cui piace trovare un lato positivo in un momento negativo, un appiglio, una
difesa d’ufficio; niente, solo apatia.
Trovare una
ragione per credere che le cose andranno meglio è complicato, immaginare che il
Club possa tornare ai fasti di un decennio fa è impossibile.
Naturalmente,
il primo pensiero che viene in mente è quello di un cambiamento radicale, un
elettroshock, e cambiare manager servirebbe per lo meno a questo – combattere
l’apatia.
I seggiolini
vuoti all’Emirates Stadium non sono figli dei risultati scarsi ma di questo
senso di déjà-vu, perciò un
cambiamento così netto potrebbe rinvigorire un ambiente mai tanto spento.
Non parlo solo
di noi tifosi ma mi riferisco anche ai giocatori, allo staff e alla stampa –
intesa non solo come giornali ufficiali ma più in generale come chiunque
scriva, parli alla radio o appaia in televisione a proposito dell’Arsenal.
Giunti a
questo punto non è più una questione di obbiettivi stagionali, risultati, trofei
o statistiche – è una questione di sopravvivenza in quanto comunità; il
prossimo manager forse vincerà tutto oppure ci trascinerà troppo vicini alla
lotta per la retrocessione ma non importa, ciò che conta è che l’Arsenal apra
una finestra chiusa da vent’anni e lasci entrare un’aria nuova, fresca.
Abbiamo tutti
bisogno di una ventata di novità, indipendentemente dall’opinione che abbiamo
circa le capacità di Arsène Wenger, un uomo che ha dato tutto all’Arsenal – più
nel bene che nel male.
Il tempo è venuto
di spalancare quella finestra e Stan Kroenke sembra essersi lasciato
convincere, secondo quanto fatto trapelare dal Club.
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