Robin van
Persie dirà addio al calcio giocato alla fine della stagione in corso.
Tornato a
Rotterdam dopo aver vestito le maglie di Arsenal, Manchester United e Fenerbahçe,
l’ormai 35enne attaccante olandese ha deciso di dire basta, una volta per
tutte.
Ovviamente il
pensiero torna alla stagione 2011/2012 e inevitabilmente alla stagione
successiva, al polverone sollevato da suo celebre comunicato stampa e al
passaggio al Manchester United di Sir Alex Ferguson.
Per anni – sei,
ad essere precisi – abbiamo aspettato pazientemente che il talento ribelle
diventasse un professionista esemplare e che l’eterno infortunato potesse
giocare una stagione intera; i lampi di classe mostrati qua e là e il suo
sinistro fatato erano talmente belli che l’attesa non era mai troppa e
l’ennesima ricaduta nemmeno intaccava l’ottimismo con il quale tutti stavamo
aspettando l’esplosione di Robin van Persie.
Ed abbiamo
avuto ragione ad aspettare, eccome.
Da quei pantaloni a zampa d’elefante a strisce bianche e nere, indossati in maniera coraggiosa in occasione della presentazione ufficiale a Highbury, alla fascia di capitano e alla Scarpa d’Oro, la parabola di Robin van Persie sembrava proiettarlo nell’Olimpo dei giocatori che hanno fatto la storia dell’Arsenal; già ottavo marcatore della storia del Club, l’allora ventottenne avrebbe potuto aspirare ad un posto sul podio e magari insidiare Ian Wright – distante 53 gol.
Con almeno tre
stagioni ad alto livello ancora nelle gambe, sempre che fosse rimasto integro,
Robin van Persie avrebbe potuto chiudere la sua avventura nel nord di Londra
con oltre 150 gol a proprio nome e undici, forse dodici stagioni sulle spalle –
delle quali almeno quattro da capitano.
A quel punto,
sarebbe stato universalmente considerato uno dei migliori giocatori della
storia dell’Arsenal e il migliore in assoluto nell’epoca post-Highbury.
Alcuni dei
suoi gol sono tra i più belli che abbia avuto la fortuna di vedere, dalla volée al The Valley contro al Charlton a
quella contro l’Everton in occasione del 125esimo anniversario del Club, fino
alla conclusione assurda da fondo campo contro il Barcellona nella notte di
Arshaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaavin! e alla conclusione a giro nel 5-2 contro il
Tottenham.
Invece Robin
van Persie ha dato ascolto “al bambino che gridava Manchester United” e ha
abbandonato la nave proprio quando il Club e Arsène Wenger avevano più bisogno
di un comandante, preferendo dare ascolto alle sirene provenienti da
Manchester.
Per vincere la
Premier League, conquistata da protagonista assoluto nella stagione d’esordio
ad Old Trafford, ha gettato via la possibilità di essere ricordato per sempre
in uno dei Club più prestigiosi al mondo.
Con un po’ di
pazienza in più – quella che l’Arsenal e Arsène Wenger hanno dimostrato, a più
riprese, nei suoi confronti – Robin van Persie si sarebbe ritrovato a giocare
con Santi Cazorla e poi con Mesut Özil, chissà quali sarebbero stati i
risultati a quel punto.
Chissà che
quel tanto agognato campionato non avrebbe potuto vincerlo nel nord di Londra,
tenendo fede ad una delle sue frasi più celebri:
“Voglio
vincere con l’Arsenal, non altrove. So che potrei vincere in tanti paesi e in
tanti modi ma voglio vincere a modo nostro […] Qualsiasi trofeo vinto qui
verrebbe dal cuore ed è quello che voglio.
È il
mio sogno.”
Anche i sogni
hanno un prezzo, a quanto pare.
Per me, Robin
van Persie è stato un idolo assoluto – il giocatore simbolo dal quale ripartire
dopo che Thierry Henry e Cesc Fàbregas sono partiti per Barcellona.
Parole come quelle
che avete appena letto facevano intuire che l’olandese aveva a cuore il Club, i
tifosi, il progetto Arsenal durante anni di vacche magre – prima che tutto
scomparisse nel giugno del 2012, attraverso un comunicato stampa delirante.
Buona pensione
Robin, peccato per quel che sarebbe potuto essere ma non è stato.
Ne è valsa
davvero la pena?
Nessun commento:
Posta un commento
I Vostri Commenti