La forza dell’abitudine, la
routine, quella sensazione di tranquillità che accompagna il fatto di sapere
esattamente cosa aspettarsi, in una determinata situazione: avete sicuramente
già sperimentato qualcosa di simile e sapete quanto possa essere rassicurante
non doversi chiedere come andrà una certa cosa - nel bene o nel male.
Ecco,
a me succede quando vedo il nome di Granit Xhaka sulla formazione titolare.
So che si sistemerà davanti alla
difesa, che smisterà palloni in maniera efficace e che all’improvviso cambierà
versante di gioco, sorprendendo gli avversari; purtroppo so anche che
commetterà qualche fallo banale, che regalerà il pallone agli avversari in
maniera stupida e che lo vedrò annaspare quando dovrà rincorrere un avversario
ma mi dico che il suo piede ben educato e il suo modo di giocare siano
fondamentali per la squadra - nonostante gli stessi errori si ripetano in
maniera costante, apparentemente inevitabili.
In fin dei conti, Granit Xhaka è il
regista imprescindibile di questa squadra.
Durante la partita contro il
Burnley, tuttavia, ho visto Mattéo Guendouzi dettare i tempi dalla cabina di
regia con percentuali di passaggio eccellenti e Joe Willock pescare la
sovrapposizione di uno o l’altro terzino con un pallone in diagonale impeccabile
- alla Granit Xhaka - il tutto con un’energia e un dinamismo che non sono mai
stati nelle corde dello svizzero e mai lo saranno.
Mi sono quindi posto di nuovo la
domanda: Granit Xhaka è davvero così
indispensabile per questa squadra?
Improvvisamente la mia routine è
crollata, quel senso di sicurezza è venuto meno per lasciare spazio al pensiero
critico - esercizio sempre molto faticoso: Granit Xhaka non è così
insostituibile, in fin dei conti.
Ciò non vuol dire che
improvvisamente non avremo più bisogno di lui ma certamente il vento per lo
svizzero è cambiato: dopo tre anni di virtuale intoccabilità, ora l’ex
centrocampista di Basilea e Borussia Mönchengladbach deve guadagnarsi il posto
e dovrà limare in fretta alcuni di quei suoi difetti che ben conosciamo.
Se fino a ieri si è potuto
“nascondere” dietro il suo profilo unico in rosa, oggi la situazione è ben
diversa e Unai Emery ha già mostrato di non guardare in faccia a nessuno.
Sebbene Dani Ceballos abbia
conquistato - a ragione - tutte le prime pagine con la sua tecnica sublime, la partita di sabato contro il Burnley ha
dimostrato che il nostro centrocampo può essere molto più dinamico e aggressivo
senza perdere in qualità e struttura,
grazie a due giocatori emergenti come Joe Willock e Mattéo Guendouzi.
Un bel cambiamento rispetto al
passato recente e un bel colpo di spugna alle abitudini - per le meno le mie
abitudini - che si erano pian piano trasformate in dogmi.
Avanti così, con sempre più
competizione tra i giocatori e sempre meno certezze per questi ultimi.
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