Il pareggio interno contro il
Crystal Palace sembra destinato a lasciare un segno profondo sulla nostra
stagione, già arrivata ad un punto critico nonostante non siano nemmeno
trascorsi tre mesi dalla prima partita.
Tutte le prime pagine sono dedicate allo scontro tra Granit Xhaka e il pubblico dell’Emirates Stadium, di cui parlerò più avanti, ma ciò non deve distrarci dai veri problemi della squadra, ormai diventati difficili da gestire - figuriamoci da correggere.
Siamo deboli, nervosi, impauriti e
incapaci di giocare a calcio, costruendo una manovra degna di questo nome;
lasciamo tempo e spazio agli avversari per ricompattarsi quando invece
andrebbero affossati e, inevitabilmente, subiamo la loro rimonta.
Contro Watford e Crystal Palace
abbiamo buttato all’aria un doppio vantaggio, contro il Bournemouth abbiamo
rinunciato a giocare nella ripresa e rischiato d’incassare il pareggio, con lo
Sheffield United ci siamo adeguati al loro livello, anzichè imporre la nostra
superiore qualità tecnica, e abbiamo perso.
Anziché surclassare gli avversari
più deboli e provare a limitare quelli più forti, ci adattiamo alla pochezza
dei rivali meno quotati e ci esaltiamo contro avversari di rango superiore;
questa, a mio avviso, è una mentalità perdente. Non possiamo essere la piccola
squadra che tira fuori la partita della vita contro la prima in classifica e
poi si perde contro avversari più abbordabili, dobbiamo essere la grande
squadra che spezza i sogni della Cenerentola di turno e poi se la gioca con le
avversarie dirette, provando a massimizzare le proprie qualità e limitare
quelle altrui.
L’unico
risultato ottenuto fino a qui da Unai Emery è stato l’averci fatto tornare
competitivi contro le dirette concorrenti: Manchester City a parte - doppia sconfitta l’anno scorso
- ce la siamo giocata con tutti e preso una sola, vera sberla, ad Anfield.
Un netto miglioramento rispetto
alla nostra storia più recente, tuttavia i risultati e le prestazioni contro le
piccole hanno annullato quello che poteva essere un vantaggio decisivo nella
corsa alla Champions League.
Quest’anno la musica non è
cambiata, nonostante una squadra decisamente più forte, a suggerire che i
problemi vengono dalla panchina: il Club ha tappato tutte le falle evidenziate
durante la scorsa stagione, eppure né il gioco né i risultati sono migliorati,
quindi è inevitabile che l’allenatore finisca sotto accusa.
Ci sono troppi interrogativi senza
una risposta chiara: perché, se l’allenatore e il Club erano d’accordo di
sbarazzarsi di Mesut Özil, fingere che fosse tutto normale? La carriera del
tedesco all’Arsenal doveva finire con la sostituzione a Baku, invece Unai Emery
ne ha fatto un elemento imprescindibile durante le preparazione estiva, l’ha
confermato nel gruppo dei cinque capitani e successivamente messo virtualmente
fuori rosa: perché? Perché ci è voluto tanto per nominare Granit Xhaka
capitano? Se l’idea, fin dall’inizio, era quella di un voto tra i giocatori,
perché non comunicarlo subito? Perché Pierre-Emerick Aubameyang sparisce
letteralmente dal campo, quando gioca Alexandre Lacazette? Perché Nicolas Pépé
non riesce ad incidere sulla partita, se non da calcio piazzato?
Le
incongruenze nella gestione di Unai Emery cominciano a diventare troppe e
l’incapacità del basco di assumersi la benché minima responsabilità,
allarmante; che si tratti della
gestione di Mesut Özil, della farsa in cui è degenerata la nomina del capitano,
dei vaneggiamenti su quanto siano migliorate le cose rispetto alla fine
dell’era Wenger o della gestione dei giovani, spietatamente additati come una
delle cause dei risultati altalenanti, Unai Emery sembra sempre pronto a
scaricare il barile e fare tutto ciò che può per coprirsi le spalle - anche
quando ciò implica mandare al patibolo uno dei suoi.
Ciò che è successo ieri sera a Granit
Xhaka deriva proprio da questo: Unai
Emery ha consegnato lo svizzero alla rabbia di un pubblico becero, che non
cerca altro che un capro espiatorio al quale addossare tutte le colpe; non
volendo essere lui quello nell’occhio del ciclone, ha scelto di sacrificare il
suo capitano, uno dei suoi intoccabili.
La reazione di Granit Xhaka è
imperdonabile ma comprensibile, date le circostanze; al netto degli errori, lo
svizzero è un professionista esemplare e uno di quei giocatori che danno tutto
ciò che hanno per la squadra e i tifosi, alcuni dei quali però si sentono in
diritto di tempestarlo di messaggi osceni, minacce di morte e compagnia ad ogni
occasione.
Il vaso doveva traboccare e l’ha
fatto, in una maniera che difficilmente potrà essere recuperata e che costerà
la fascia di capitano a Granit Xhaka, anche se la colpa in fondo è dell’uomo che lo ha reso un elemento centrale del
progetto senza dargli gli strumenti per esaltare i propri punti forti e
nascondere quelli deboli - riuscendo piuttosto a fare il contrario.
Da allenatore, Unai Emery ha il
compito di costruire uno spogliatoio solido e massimizzare il rendimento della
rosa che il Club gli ha messo a disposizione - due missioni fino a qui fallite
miseramente; per raddrizzare la stagione ci vorrebbe una sorta di
trasformazione di massa improvvisa, un’illuminazione collettiva che certamente
non arriverà. Ciò che succederà, invece, è che al basco sarà concesso tempo
solo fino alla fine della stagione, nella migliore delle ipotesi.
Il futuro di Unai Emery sembra
ormai già scritto, resta da vedere quando arriverà l’esonero: nei prossimi
dodici giorni giocheremo contro Liverpool (A in Carabao Cup), Wolves (H),
Vitória (A in Europa League) e Leicester (A), quattro partite che potrebbero
già essere decisive per il basco; nella migliore delle ipotesi, invece, l’ex
allenatore del PSG potrebbe restare in carica fino al periodo natalizio, quando
affronteremo Manchester City (H), Everton (A), Bournemouth (A), Chelsea (H) e
Manchester United (H) e la nostra stagione sarà virtualmente decisa.
Spiace
dirlo ma non sarà mai troppo presto per separarsi.
Subito...immediatamente...adesso!
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