In principio fu il famoso British Core: Jack Wilshere, Aaron Ramsey, Carl Jenkinson, Alex
Oxlade-Chamberlain e Kieran Gibbs.
Cresciuti a Hale
End o arrivati giovanissimi, questi cinque giovani talenti britannici avrebbero
dovuto rappresentare il futuro del Club, il legame indissolubile con Londra e
con la storia dell’Arsenal, sempre pregna di stelle emergenti pronte a conquistare
il palcoscenico.
Sappiamo tutti
com’è andata, tra promesse non mantenute e infortuni ricorrenti.
Dei cinque, uno è
stato fermato da troppi infortuni, un altro si è accontentato del ruolo di
comparsa, uno semplicemente non è mai stato all’altezza, uno ha cambiato Club e
quello restante, Aaron Ramsey, è stato l’unico capace di conquistarsi un posto
negli annali del Club.
Niente di
scandaloso, dopotutto è estremamente raro che più giocatori di annate vicine
arrivino in prima squadra e riescano a diventarne perni insostituibili, quindi
il fatto che il nostro British Core
non sia stato all’altezza della Class of
‘92 del Manchester United non è una vergogna.
Il vero scandalo,
a mio parere, è come abbiamo gestito questi cinque giocatori: quattro di essi
infatti sono stati ceduti a titolo gratuito, in circostanze diverse tra loro,
vanificando di fatto i massicci investimenti fatti per portarli fino a dove
sono arrivati.
Non fosse stato
per i £ 40m sborsati dal Liverpool per acquistare Alex Oxlade-Chamberlain, non
avremmo ricavato nulla da questi giocatori, con enorme danno per le casse del
Club.
Come tanti di voi,
anch’io sognavo di vedere Aaron Ramsey e Jack Wilshere dettare il gioco a
centrocampo, Alex Oxlade-Chamberlain spaccare in due la partita dalle fasce mentre
Carl Jenkinson e Kieran Gibbs pattugliavano le loro zone di competenza.
Non è successo e
non è mai sembrato possibile, se non a sprazzi, non necessariamente (o
solamente) per colpa dei giocatori stessi: ci vogliono una serie di condizioni
ideali affinché un giovane giocatore possa imporsi, a prescindere dal talento
individuale, quindi il fatto che non abbia funzionato è pressoché fisiologico.
Arriva il momento nel quale è necessario dire “grazie ma
dovremmo prendere strade diverse” e purtroppo questo momento per tre dei cinque giocatori
in questione è arrivato troppo tardi, quando la loro parabola era già troppo
discendente per attirare un qualsiasi Club rivale.
Separarsi a volte
è la scelta giusta per tutti, per il Club che per lo meno potrebbe monetizzare
e quindi recuperare l’investimento fatto e per il giocatore stesso, la cui
carriera potrebbe ripartire.
Senza esagerare,
credo che avremmo potuto ricavare un centinaio di milioni dalle cessioni dei
suddetti, in momenti diversi dell’ultimo lustro, ma abbiamo esitato e ci siamo
ritrovati con in mano un pugno di mosche.
Mi auguro che per
lo meno ci sarà servito da lezione, perché si stanno affacciando in prima
squadra nuovi giovani promettenti e, come successo per i loro predecessori,
arriverà il momento in cui alcuni di essi - potenzialmente ognuno di essi -
dovranno cambiare aria perché non all’altezza delle aspettative.
Ainsley
Maitland-Niles, Joe Willock, Reiss Nelson, Bukayo Saka, Gabriel Martinelli,
Emile Smith-Rowe e Eddie Nketiah ad un certo punto dovranno essere giudicati in
maniera spietata: possiedono le qualità indispensabili per giocare in una
squadra che ambisce a giocarsi la Premier League e la Champions League?
Se la risposta è
diversa da un sì deciso e perentorio, allora sarà bene muoversi per tempo e
considerare l’ipotesi di cederli al miglior offerente, senza esitazioni.
È successo
l’estate scorsa con Alex Iwobi, per il quale ho sempre provato un certo
affetto, e tutte le parti in causa sembrano aver fatto la scelta giusta: il
giocatore scende in campo regolarmente, l’Arsenal ha incassato un’ottima somma,
l’Everton si ritrova con un elemento di indubbio talento che, in
quell’ambiente, potrebbe esprimersi al massimo delle proprie possibilità.
Appurato che non
diventeranno i giocatori che tutti speriamo possano diventare, questi giovani
talenti potranno comunque aiutare il Club generando fondi che ci permetteranno
di costruire la squadra che vogliamo costruire, una squadra capace di tornare
ai vertici.
Può sembrare
crudele ma non tutti possono diventare Thierry Henry, Dennis Bergkamp, Robert
Pirès o Cesc Fàbregas e a volte vanno fatte le scelte giuste, anche se
dolorose.
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